Quando Serra si presentò al Teatro della Triennale durante la Stagione dello scorso anno, i biglietti andarono a ruba in men che non si dica. Per tutto il periodo, prima e dopo la rappresentazione dello spettacolo, il sottobosco teatrale milanese non parlò d’altro, tanto da infondere invidia agli interessati che non riuscirono ad accaparrarsi il biglietto per tempo. Sarà per questo motivo, o forse perché la Stagione corrente di Triennale Teatro Milano si ispira alle ricette teatrali classiche condite da un pizzico di contemporaneità, che torna Macbettu. Prima di vederlo, ben venga una ripassata al Macbeth originale, ma, al di là della trama, la messa in scena, la capacità registica, i richiami alla terra sarda - chiamata in causa perché casa originaria di Serra - sono a tutti gli effetti la vera attrazione dello spettacolo. Gli elementi più preminenti della rivisitazione del capolavoro del teatro elisabettiano sono la lingua, la scenografia, i suoni. La Sardegna è ovunque: nei campanacci, nella dimensione dionisiaca, ma soprattutto nell'idioma. La stesso, quello dialettale, che si traduce nel mezzo in cui si parlano gli attori - tutti uomini - una nenia assolutamente piacevole, una musica o per meglio dire una partitura di suoni che scrive la drammaturgia in scena. Lo spettacolo, che in due anni ha fatto il giro del mondo, torna a Milano per riconsacrare il palcoscenico della Triennale e arricchirlo della stupefacente suggestione che resta negli occhi e delle orecchie dopo aver visto il lavoro di Alessandro Serra. 

A cura di @alessia__musillo