Il giardino in una stanza

Castello Sforzesco

Oggi è una fortezza con tre corti, da una parte la città vitale con i suoi traffici e commerci, dall’altra il verde del Parco Sempione: già all’epoca di Leonardo il Castello Sforzesco era il cuore irradiante di una città ideale, che il geniale architetto rinascimentale Filarete aveva disegnato in una stella a otto punte chiamata Sforzinda, un’immagine di armonia e perfezione. L’immagine prende nuova vita con la corte di Ludovico il Moro, tra letterati, astrologi, rimatori, musici, architetti, e Leonardo da Vinci, che era un po’ qualcosa di tutti loro. E ancora cuochi, stallieri, sarti per la nuova moda, mentre tutto intorno la Milano che lavora costruisce nuovi palazzi e si lancia nei media con le prime tipografie.

Da architettura di difesa a icona di stile, il duca attua un restyling totale delle sale, dà istruzioni sulle decorazioni e detta il dress code della sua elegantissima corte, arricchisce il calendario degli eventi musicali, sperimenta nuove coltivazioni nel grande parco, lo stesso in cui accompagna i nobili ospiti e gli ambasciatori per le battute di caccia.

La città guarda oltre le sue mura difensive: per un duca così ambizioso e appassionato della bellezza Leonardo progetta una torre altissima, in grado di competere con i grattacieli milanesi di oggi, che tutti avrebbero potuto vedere da lontano e che non fu mai realizzata, come accadde per il Cavallo. In compenso dà vita a feste e messinscene spettacolari, un grande teatro della creatività: come un wedding planner di lusso, per il matrimonio di Gian Galeazzo Sforza e Isabella d’Aragona, inscena la Festa del Paradiso con macchine che fanno roteare stelle e pianeti, accendono fuochi, innalzano angeli e divinità fino al soffitto.

E siccome il duca ama l’arte almeno quanto le feste e la moda, nel 1498 chiede a Leonardo di decorargli la “Camera delle Asse”. Poco importa che il precedente duca Galeazzo la volesse rossa, Leonardo disegna un pergolato di gelsi in omaggio a Ludovico Sforza il cui soprannome il Moro indica appunto le piante di gelso: il pensiero va alla seta, la cui lavorazione si diffonde sempre di più nell’Italia del Nord, ma anche alla saggezza di chi governa, perché capace di fiorire e maturare evitando le avversità delle stagioni.  I rami e le foglie si intrecciano insieme a un nastro dorato, un vezzo fashion che Beatrice d’Este userà come griffe per i suoi vestiti, e il loro groviglio appare come un nodo infinito, senza interruzione: insomma, c’è un po’ dell’osservazione scientifica della natura e un po’ dell’astrazione simbolica. Sui muri una selva di tronchi che si eleva fino al soffitto, alcune pietre attraverso le quali le radici si fanno strada, e un paesaggio come quelli cui Leonardo ci ha abituati, il tutto monocromo.

Il Tempo e le vicende storiche hanno tormentato i disegni della Sala e quello che è sopravvissuto, grazie al lavoro di anni di studi e restauri, è un dono di Leonardo alla sua epoca e alla nostra, così come l’altra grande traccia di Leonardo custodita oggi al Castello Sforzesco, il Codice Trivulziano: i fogli conservati alla biblioteca Trivulziana, uno tra i tanti tesori del Castello, ci fanno immaginare un Leonardo che cammina per le sale e le corti del Castello prendendo appunti, disegnando, studiando una possibile cupola per il Duomo e imparando il latino da autodidatta.