Abbiamo selezionato 6 figure chiave di professioniste nel panorama italiano e internazionale dell’architettura e del design, che negli ultimi decenni con il loro talento e dedizione hanno dato a Milano un contributo significativo alla trasformazione urbana, alla vivibilità dei luoghi e alla qualità della vita delle persone nel loro quotidiano.

 

In tutti questi progetti di professioniste della scena italiana e internazionale si intravede un fil rouge: una combinazione di talento e dedizione che guida il proprio lavoro, progetti e forme sempre più morbide e curve e una visione aperta e trasparente di città, “capaci di produrre un contributo significativo al progresso dell’umanità e dell’ambiente costruito“(scopo del premio fondato da Jay A. Pritzker e da sua moglie Cindy nel 1979).

 

Il nostro “tour” delle impronte lasciate da donne designer - architette e dei luoghi che la città ha dedicato loro, inizia con due figure chiave della Milano del dopoguerra che si ricostruisce e si innova, due pionere e apripista dell’architettura al femminile, in un mondo allora di dominio maschile ma che oggi vede il numero delle studentesse di Architettura superare quello degli studenti: Cini Boeri e Gae Aulenti.
 

Cini Boeri, da Giò Ponti e Zanuso al Compasso d'Oro

Cini - già il vezzeggiativo del nome è la quintessenza della milanesità - nasce studia e vive a Milano, da poco scomparsa proprio nel giorno della premiazione del Compasso d'Oro 2020.

Giovanissima approda allo studio di Giò Ponti, sotto la cui guida ha “imparato a sognare”, poi in quello di Zanuso, dove ha “imparato a lavorare” per poi fondare il suo studio nel 1963.

 

Tanti i progetti di architettura e di design; nel 1979 vince il Compasso d’Oro per il divano Strips disegnato nel 1968 per Arflex ed esposto presso la collezione permanente della Triennale di Milano, il MoMa di NY e in altri musei del mondo.

Rivoluziona il mondo del mobile con un sistema di sedute di facile produzione e vendita, un divano componibile completamente sfoderabile, seguito all'esperimento del Serpentone, il divano costituito da una struttura schiumata integrale da vendere a metri.

 

Ciò che l’ ha sempre interessata è raggiungere qualcosa di meritevole che possa migliorare il mondo cioè la vita delle persone, siano abitanti di una casa o utilizzatori di un progetto; qualcosa di utile, possibilmente con un significato sociale, con responsabilità ma anche con gioia.
 

Gae Aulenti, la sua Piazza Cadorna e la piazza del millennio a lei dedicata

La prima tappa del percorso su Gae Aulenti è Piazzale Cadorna antistante la stazione, vicino al Castello Sforzesco.

Negli anni Novanta era già crocevia di 2 linee metropolitane, tram, autobus e linee ferroviarie e a lei fu affidato il grande progetto di ammodernamento; il suo sguardo internazionale lo ha trasformato in uno snodo colorato, con ampi marciapiedi, colonne rosse, pannelli verdi e tettoie di vetro, e già allora “non pareva proprio d’essere a Milano”.

 

Fu Gae a voler inserire le fontane e la imponente e innovativa scultura Ago, Filo e nodo, un’opera apparentemente divisa in due (un treno che entra in una galleria sotterranea) in realtà ricca di simbologie in omaggio a Milano.

Le due parti in realtà si ricongiungono idealmente nel sottosuolo, un richiamo alla metropolitana simbolo di una città che va di fretta: il filo rosso-verde-giallo infatti ha gli stessi colori identificativi delle tre linee milanesi presenti al tempo.

E l’ago e il filo richiamano la laboriosità dei milanesi nel mondo della Moda, nel quale la città si distingue a livello mondiale.

 

Ma quando a Milano si dice “Gae Aulenti” ormai ci si riferisce alla famosa piazza del nuovo millennio, inaugurata e a lei intitolata nel 2012, anno in cui morì: simbolo di uno dei più importanti progetti europei di riqualificazione urbana nel distretto di Porta Nuova, fra la stazione Garibaldi e l’Isola, dove si ritrova la funzione originaria delle piazze come punto di incontro e socialità dei cittadini.

Incastonato fra lo skyline meneghino, un rifugio che mitiga il rumore delle strade con il fruscio dell’acqua delle fontane, il dislivello di oltre 6 metri e una lunghissima panchina scultura su cui riposare.

 

 

Zaha Hadid, la prima ad aver vinto il Pritzker, il Nobel dell'architettura

Se Gae fin dagli anni ‘50 e ’60 grazie alla sua personalità, al coraggio e ai numerosi progetti e riconoscimenti ricevuti nel mondo, si è sempre distinta nell’affermare l’arduo riconoscimento del contributo femminile in architettura dicendo di lavorare per se stessa, anche se “ci sono un sacco di donne architette di talento ma la maggior parte preferisce lavorare con gli uomini”, bisognerà aspettare il 2004 per veder attribuito il Premio Nobel per l’architettura, il Premio Pritzker, a 25 anni dalla sua istituzione nel 1979, a una donna: Zaha Hadid.

 

E da Porta Nuova ci spostiamo verso ovest, idealmente sorvolando  il Parco Sempione, direttamente nell’area ex-Fiera denominata CityLife, dove dopo la recente riqualificazione domina altissimo verso il cielo lo Storto, una torre di 44 piani con un dinamico movimento di torsione che la fa sembrare come realizzata in materiale elastico.

Si tratta di uno degli interventi dell’architetto (“Sono semplicemente architetto”, non donna o architetta, così amava definirsi) anglo-iraniana che si è aggiudicata l’Excellence in Concrete Construction Award 2019 nella categoria High Rise Building, assegnato dall’ American Concrete Institute.

 

Fluide e aerodinamiche le forme delle Residenze CityLife, come fossero scavate dal vento e dalle acque: anche in queste si riconosce la cifra stilistica zahadidiana ma questa volta per accentuarne l’orizzontalità, con le balconate curvilinee rivestite in alluminio, vetro e legno di cedro canadese a doghe orizzontali.
 

Un duo di architette irlandesi per l'edificio dell'Università Bocconi di via Roentgen

Dopo Zaha bisognerà attendere il 2020 per veder riconosciuto il Premio Pritzker al primo duo di architette senza partner maschili in studio: si tratta delle irlandesi Yvonne Farrell e Shelley McNamara, fondatrici del Grafton Studio di Dublino.

 

In Italia oltre alla Biennale Architettura 2018 hanno realizzato e inaugurato nel 2008 il monolitico edificio dell’Università Bocconi di Milano di via Roentgen (World Building of the Year nel 2008): un continuum tra lo spazio pubblico cittadino e l’edificio, il marciapiede prosegue all’interno portando con sè la pavimentazione della città e aprendosi in uno spazio inaspettatamente ampissimo.

L’esterno è in ceppo di grè, pietra tipica locale di molti palazzi milanesi.

Il nuovo campus Bocconi di Kazuyo Sejima e Ryue Nishizawa

L’Università Bocconi è diventata da allora un vero e proprio campus metropolitano inserito nel tessuto urbano di Milano nel quartiere di Porta Lodovica: sedi storiche e spazi nuovi che si integrano fra loro facendone un quartiere vivo e internazionale grazie alla pulsante vita universitaria e ai molti studenti stranieri che la frequentano.

 

La sua evoluzione è proseguita negli ultimi anni con l’ estensione nell’area ex Centrale del Latte: entro il 2020 dovrebbe concludersi la costruzione del nuovo campus firmato dallo studio SANAA, fondato dalla coppia di architetti giapponesi Ryue Nishizawa e Kazuyo Sejima, premio Pritzker 2010.

 

Lo studio SANAA si è aggiudicato il concorso internazionale a inviti che vedeva in gara professionisti come Rem Koolhaas, David Chipperfield, Thom Mayne, Massimiliano e Dorina Fuksas, Mario Cucinella, Cino Zucchi e molti altri nomi rilevanti.

 

Il motivo ispiratore è stato quello di aprire il campus alla città, con portici e chiostri che richiamano i cortili milanesi verdi in relazione fra loro ed edifici dalle forme morbide e curve.

Si trovano in quest’area oltre alla School of Management e le torri-residenza per studenti, anche strutture accessibili dai cittadini milanesi: il centro sportivo di 2000 metri quadri con palestre per pallavolo e pallacanestro, l’anello per il running e la prima piscina olimpica coperta della città, oltre al parcheggio sotterraneo e spazi verdi