Milano non è una città dialettale, è una città gergale. Nella città del Porta non si parla più il vernacolo milanés, ma proliferano slang e argot. Senza nessuna pretesa linguistica o lessicografica riportiamo alcune espressioni gergali milanesi che suonano maggiormente distintive alle orecchie foreste, come l’ormai celebre Tàac popolarizzato dal Milanese Imbruttito.
Dal “ci sto dentro” ormai trentennale si è evoluto il più corto “ci sta”, per approvare una proposta altrui di solito finalizzata ad aumentare il benessere e l’edonismo collettivi.
Es. “Andiamo a farci un chupito all’aperto?” “Ci sta!”
Tutti a Milano si danno da fare, ma non è che la gente fischietti al lavoro: tutto infatti è sbatti, uno sbatti, ma che sbatti. Troncamento di “sbattimento”, originariamente riferito alla frenetica attività degli eroinomani in cerca di una dose, ha perso nei decenni la connotazione lugubre e a parte mamma e papà tutte/i lo dicono a Milano.
Es. “Che sbatti, ho tre ore di latino in DAD” “A me mi fa sbatti anche solo accenderlo il computer.”
A Milano, o sei social o non esisti. Gli smartphone sono sempre all’opera nello spazio pubblico: “Aspetta che faccio una foto da postare sui social”. E tutte/i accettano con animo equanime che ci si debba dedicare alla manutenzione del proprio profilo social, su insta se sei young, su twitter se sei nerd, su facebook se sei millennial or older. Ovviamente la GenZ è l’unica a saper usare TikTok dove poi si vedono le cose più divertenti. Le danze coordinate dei teen nelle piazze di Milano si sprecano.
Marinare la scuola, saltare un qualsiasi impegno con sfacciato sollievo.
Es. “Ho balzato la prima ora d’italiano. “Io a sto giro mi sa che mi balzo tutta la settimana”.
Chi si loda e s’imbroda, colui (perché è sempre un lui) che si dà arie e ostenta status, ma rivela così facendo una certa mediocrità di gusto o carattere.
Es. “L’Ambrogio? Se non è bauscia quello lì, sempre in giro col SUV”.
Una donna vestita in maniera eccentrica con psicologia alterata rispetto al medio conformismo. Anche usato al maschile, come nella raccolta di poesie in dialetto milanese Stròlegh (1975) del grande e da poco scomparso Franco Loi.
Qualunque pausa pranzo che non comporti spendere per mangiar fuori magari col ticket, bensì s’incentri sul portare da casa avanzi del giorno prima o qualunque altra preparazione domestica di cibo.
Es. “Vieni a mangiare il sushi?” “No grazie, oggi vado di schiscetta.”