Training Humans sembra voler aggiornare - ai tempi della sorveglianza di massa e dei cosiddetti Big Data - una delle domande più ricorrenti e spinose della storia dell'umanità: "Chi custodirà i custodi?". Per capire le premesse e la prospettiva nella quale agiscono Kate Crawford e Trevor Paglen occorre chiarire il concetto di immagini di "training": si tratta dell'ormai immenso repertorio di immagini che vengono utilizzate per "istruire" i sistemi di Intelligenza Artificiale, tutte le foto o i video raccolti dai sistemi tecnologici coi quali ci interfacciamo: dalle telecamere di sorveglianza alle foto delle vacanze sui social network. 

Un tempo queste immagini dovevano essere in qualche modo intercettate (pensiamo ad esempio alle foto segnaletiche dei detenuti), mentre oggi siamo in larga misura noi stessi a cederne i diritti al sito o alle app. In tal senso però Training Humans non vuole offrire una visione necessariamente distopica o complottista, ma certamente sembra avere le potenzialità per essere una delle più accurate e "concrete" riflessioni in ambito artistico sui meccanismi che con ogni probabilità andranno a regolamentare il mondo di qui al futuro. Al di là di ogni allarmismo, il rischio è che negli strumenti atti ad analizzare e catalogare il mondo in base a determinati "parametri" subentri una sorta di "giudizio morale" - un concetto che Crawford approfondisce quando parla di "asimmetria di potere propria di questi strumenti". Difficile quanto importante iniziare a fare ordine in una materia così mutevole e sfuggente. La sensazione è che ci si trovi di fronte a qualcosa di realmente "nuovo" e quindi a una mostra con un valore storico.

A cura di @lorenzo.giannetti.outsider